con Marc Kocher
Taormina, 1992
La scena di Elettra é semplicemente il cortile del grande palazzo dove si consuma il sacrificio di Agamennone e quindi altri omicidi dove gli Atridi sono vittime e carnefici. Sulla facciata di ferro del palazzo sono fissati il volto di Agamennone, il magnanimo (come dice il suo nome), e la testa di Elettra, la vendicatrice.Elettra discendente da Atreo, cresce come una serva perché, testimone del delitto, ma il suo pallore appare come luce livida sul palazzo con macchie rosse rivelatrici di malattie segrete o di un male genetico trasmesso ai titani e che Perseo non ha distrutto.
L’architettura micenea era opera di profondità, oscure entrate, luce zenitale, pozzi d’acqua, ombre: come i nuraghi o le discese sacre nell’acqua nella Sardegna, l’isola punica gelosa della propria storia.
Così questa costruzione degli Atridi giunge a noi con la stessa gelosia, scarsa, obliqua storia.
E io la vedevo nel nostro mondo come noi vediamo le città dove viviamo; immense distruzioni, edifici sfasciati, miseria, confusione delle lingue. La maledizione degli Atridi continua nella Los Angeles di “Blade runner”, nella Manhattan di “Escape from New York” o nella Roma di Pasolini così come era continuata nella Londra di Shakespeare ma anche nei Docklands.
Vedevo gli zingari rumeni accampati a centinaia attorno alla porta di Brandeburgo e l’architettura un tempo gloriosa dei re prussiani ridotta a sfondo bruciato di colonne annerite dalle guerre come dal fuoco dei profughi.
E le grandi fabbriche abbandonate, cadenti, con crepe trasversali nella muratura e ferro ruggine, macchine, vagoni, strumenti di cui abbiamo perso il senso o l’uso.
Tutto questo é ciò che vedevo nel palazzo degli Atridi: l’impossibile sfida ad Apollo si era trasformata in una provocazione stupida, e le frecce del Dio cadevano sul progresso.
E colpivano anche il vendicatore vittima, il misterioso Oreste condannato all’azione dal destino e dalla folle sorella. Esce dalla casa del vecchio padre adottivo con l’amico Pilade, amico ridotto a testimone ma simbolo dell’amicizia e del silenzio innocente del testimone. In questa tragedia tutti sono coinvolti e sfuggono coloro che desiderano a partire dal rapporto tra Oreste e Clitemnestra. E ognuno é testimone suo malgrado sperando che non accada ciò che segretamente desidera Come dice una vecchia canzone americana “Please don’t love me, because I love you”.
Ma Agamennone, il magnanimo, e la figlia Elettra, la vendicatrice avevano in se stessi il proprio testimone, indifferenti all’amore incestuoso che la maledetta Clitemnestra sfrutta invano con il figlio lasciandolo nella pazzia.
Ma la scena, l’architettura dove nasce?
In realtà, nonostante l’orgoglio costruttivo o ingegneresco dell’architettura esse si confondono persino nella triade vitruviana.
Tutto quanto ho scritto é architettura, sia la scena fissa di una qualsiasi casa o sia pure la corte del palazzo degli Atridi.
Il padre, la figlia, il ferro dei coltelli e delle spade, le porte famose di favolosi tesori, le finestre dei servi e degli eroi, le decorazioni lucenti con smalti di donne bellissime e di agili efebi. E tutto questo attraversato da una crepa, cedimento della costruzione o affiorare in superficie del sangue di questo palazzo/manicomio, o clinica. Clinica da cui usciranno i cadaveri.
Nell’antica Grecia vi era una macchina per questo; oggi nell’ignoranza di questa macchina ho pensato che essi usciranno su binari sopra lettini con bende insanguinate tanto fu cruenta la morte.
Ma in modo altrettanto cruento fini il e di Micene Oreste si avvierà alla persecuzione delle Erinni poco difeso dall’arco di Apollo.
Così finisce la tragedia e credo che sia difficile rappresentarla anche per questo sdegno e questa miseria degli eroi. Ma essa si esalta e attraversa noi stessi ed esalta questo mestiere: teatro o scenografia, scenografia o architettura quali altri mezzi per rappresentare sempre uguale la storia. Un re tradito, un vile che lo uccide, una moglie terribile, un figlio incestuoso e le storie passate. Ed Elettra che divide e giudica e uccide.
Per questo Elettra, la figlia del Magnanimo, é ferma sulla scena, con luce livida sul volto con macchie rosse come un morbo genetico, oscuro, irrisolubile se non nell’altro rosso, del sangue, che essa vuole e che sarà versato dal fratello innocente.
Ma lui, Agamennone, il principe magnanimo, fratello del re di Sparta, compare sulla pietra metallo, sulla fabbrica o palazzo abbandonato come l’eroe.
Forse l’ultimo in un mondo che odia gli eroi.
Questi sono gli elementi per la costruzione del palazzo degli Atridi che alla fine non sarà altro che un muro di paura, un manicomio, l’ultima clinica.
Ma anche sorgerà una bellezza sconosciuta nella notte di Taormina, nella terra di Sicilia circondata dal mare degli dei e degli eroi.
Sono queste pietre della Magna Grecia, della Sicilia, del Mar greco che come un sogno tra virtù e peccato hanno costruito questi disegni.